La poesia negli Scacchi
Primo Levi nacque a Torino il 31 Luglio 1919 e non ebbe una vita facile, gli eventi di cui fu partecipe non lo consentirono. Fu chimico, partigiano, scrittore e poeta, in quest’ordine, come ebbe a testimoniare. Di famiglia ebraica, le leggi razziali del ‘38 lo colsero nel pieno degli studi e solo fortunosamente poté laurearsi nel ’41 in Chimica, scienza di cui era innamorato e che gli permise letteralmente di sopravvivere nel lager e gli consentì un certo agio nel dopoguerra. Negli anni degli studi frequentò gli ambienti antifascisti, conobbe Norberto Bobbio, Massimo Mila, Fernanda Pivano; perseguitato in quanto ebreo, fu naturale dopo l’8 settembre ’43 che si rifugiasse in montagna.
Arrestato pochi mesi dopo dalla milizia fascista in Val d’Aosta e interrogato preferì dichiararsi ebreo piuttosto che partigiano, fu perciò trasferito a Fossoli e nel febbraio ’44 caricato su un carro merci e internato ad Auschwitz. Sopravvisse alle sevizie e agli stenti del campo di sterminio per una serie di coincidenze: sapeva qualche parola di tedesco, venne reclutato come chimico dalla IG Farben e una provvidenziale scarlattina lo esentò dalla “marcia della morte” quando Auschwitz fu evacuata prima dell’arrivo dell’Armata Rossa, il 27 gennaio 1945. Fu uno dei venti sopravvissuti dei 650 uomini, donne, vecchi e bambini partiti nello stesso giorno da Fossoli. Tornato in Italia dopo un viaggio lunghissimo e avventuroso, trovò impiego come chimico alla Duco di Avigliana e si sentì in obbligo di scrivere, raccontare quel che aveva visto e vissuto. Nacque così “Se questo è un uomo”, libro che venne dapprima respinto dalle case editrici perché ci si rifiutava di credere all’abominio del genocidio, di un programma di sterminio organizzato e messo in opera da esseri umani che prevedeva lo sterminio totale di handicappati, “diversi” (omosessuali, zingari), di un intero popolo (gli ebrei) e la sottomissione delle razze “impure”, non “ariane”.
Ci vollero molti anni e processi nei tribunali prima che le atrocità della Shoah venissero rese note, gli stessi sopravvissuti stentavano a raccontare, nel timore di non essere creduti. Dopo il primo libro ne seguirono altri e Levi divenne uno scrittore affermato e premiato nei più prestigiosi concorsi letterari come lo Strega, il Campiello e il Viareggio. Nel frattempo era diventato Direttore della Siva di Settimo Torinese, una piccola fabbrica di vernici. Il suo stile di scrittura è asciutto e semplice, la sua è una prosa da “chimico che pesa e divide, misura e giudica su prove certe e s’industria di rispondere ai perché” come ebbe a dichiarare. Scriveva in prosa ma spesso gli urgevano le emozioni trasmesse in poesia, un linguaggio che arriva più efficacemente al cuore prima che alla ragione. Le iperboli nelle sue poesie non sono mai eccessive, le metafore chiaramente comprensibili e netti gli scopi prefissi.
Lo dimostrano le due poesie sugli scacchi che qui riportiamo: sappiamo che Levi amò appassionatamente il “gioco dei Re” benché nulla ci sia giunto circa il suo grado di abilità. E certo tra le emozioni dalle poesie non v’è scacchista che non sussulti nel sentirsi apostrofare: “Per prevedere i miei tratti / ci vuole altra sapienza che la tua. / Lo sapevi fin da principio / che io sono il più forte”. E ancora un brivido ci coglie leggendo “Ora tutto è finito, / sono spenti l’ingegno e l’odio. / Una gran mano ci ha spazzati via, / deboli e forti, savi, folli e cauti, / i bianchi e i neri alla rinfusa, esanimi”. Par quasi di sentire lo “scroscio di ghiaia dentro la scatola buia di legno” finché la tensione si stempera nel finale: “Quando un’altra partita?”. Primo Levi venne trovato morto l’11 aprile 1987 nella tromba delle scale della propria casa di Torino probabilmente per una caduta . Sulla sua morte l’ipotesi più accreditata è quella del suicido anche se alcuni sostengono che sia colpa delle vertigini di cui soffriva .
Le sue spoglie riposano nel cimitero israelitico al Monumentale di Torino.
Annotazioni a cura dei Topi di Biblioteca
Primo Levi
ad ora incerta, 9 maggio 1984
Solo la mia nemica di sempre,
l’abominevole dama nera
ha avuto nerbo pari al mio
nel soccorrere il suo re inetto.
Inetto, imbelle pure il mio, s’intende:
fin dall’inizio è rimasto acquattato
dietro la schiera dei suoi bravi pedoni,
ed è fuggito poi per la scacchiera
sbieco, ridicolo, in passetti impediti:
le battaglie non sono cose da re.
Ma io!
Se non ci fossi stata io!
Torri e cavalli si, ma io!
Potente e pronta, dritta e diagonale,
lungiportante come una balestra,
ho perforato le loro difese;
hanno dovuto chinare la testa
i neri fraudolenti ed arroganti.
La vittoria ubriaca come un vino.
Ora tutto è finito,
sono spenti l’ingegno e l’odio.
Una gran mano ci ha spazzati via,
deboli e forti, savi, folli e cauti,
i bianchi e i neri alla rinfusa, esanimi.
Poi ci ha gettati con scroscio di ghiaia
Dentro la scatola buia di legno
Ed ha chiuso il coperchio.
Quando un’altra partita?
- II) ad ora incerta, 23 giugno 1984
Così vorresti, a metà partita,
a partita quasi finita,
rivedere le regole del gioco?
Lo sai bene che non è dato.
Arroccare sotto minaccia?
O addirittura, se ho capito bene,
Rifare i tratti che hai mossi all’inizio?
Via, le hai pure accettate queste regole,
Quando ti sei seduto alla scacchiera.
Il pezzo che hai toccato è un pezzo mosso:
il nostro è un gioco serio, non ammette
contratti, confusioni e contrabbandi.
Muovi, che il tuo tempo è scarso;
Non senti ticchettare l’orologio?
Del resto, perché insistere?
Per prevedere i miei tratti
Ci vuole altra sapienza che la tua.
Lo sapevi fin da principio
Che io sono il più forte!